giovedì 13 dicembre 2012

Un'orchestra di robot e tablet


Quando si parla di tablet, si pensa ai libri. Si pensa al fatto che prima o poi spariranno, perché i tablet sono più leggeri, perché contengono vere e proprie biblioteche, perché basta un clic per scaricare un e-book. Si pensa al problema dei diritti d’autore, al fatto che in molti scaricheranno gratuitamente, e al profumo che aveva la carta. Il dibattito è aperto e vivace. Tuttavia, quella dei tablet non è una rivoluzione confinata al campo della letteratura, come dimostra l’orchestra Filarmonica di Bruxelles.

Primi orchestranti ad usare i tablet, i musicisti hanno infatti letteralmente buttato in aria gli spartiti di carta per poi suonare il Bolero di Ravel e le opere di Wagner seguendo le note riprodotte sulle tavolette da 16 GB. L’obiettivo della filarmonica è la completa conversione dalla carta alle note digitali, processo che dovrebbe concludersi nei prossimi anni, innovando e adattando ai nostri tempi il funzionamento di un’orchestra, immutato da secoli. La novità permette inoltre di risparmiare ben 25 mila euro di carta per gli oltre 100 concerti programmati dalla Filarmonica durante l’arco di un anno: tutte le modifiche agli spartiti, infatti, costringevano a stampare nuove copie degli stessi. Con i tablet sarà sufficiente un clic per aggiornare completamente lo spartito.

L’esecuzione si rivoluziona, dunque, ma non è il caso di stupirsi più di tanto. Esiste, infatti, addirittura un robot pianista, in grado di interpretare brani musicali, cantare e parlare. Teotronico può riprodurre testi parlati, essere doppiato in tempo reale, rispondere alle domande del pubblico e interagire con i suoi interlocutori. Progettato, prodotto e assemblato in Italia dall’inventore Matteo Suzzi, Teotronico è il primo robot al mondo a suonare il pianoforte e ad esibirsi con l'orchestra. Può suonare da solo ma anche in duo con un vero pianista, in modo da mettere in evidenza le differenza tra una mera riproduzione e una più libera interpretazione. TeoTronico, inoltre, può seguire le indicazioni del direttore d'orchestra, con un'esecuzione più “umana”, in particolar modo se controllato in remoto da un ghost-pianist, un pianista professionista che suona su un pianoforte nel retropalco, collegato al robot mediante un cavo. Ascoltare per credere.

Sono molte, quindi, le novità che interessano la musica e la sua esecuzione. Tornando ai tablet, esistono programmi che simulano semplici pianoforti da una sola ottava, ma anche app che riproducono la batteria, così come adattatori per collegare la chitarra elettrica al proprio Kindle o addirittura per renderlo una pedaliera completa; esistono perfino strumentazioni per improvvisarsi dj, vere e proprie consolle che si integrano al tablet.

Una rivoluzione è in atto, non c’è dubbio, e il dibattito è aperto. Sta a noi capire come fare per non impoverire la musica e allo stesso tempo salvare le foreste. Gli strumenti sono nelle nostre mani.

lunedì 26 novembre 2012

Maschi contro femmine, forse - 2° tempo


Maschi contro femmine, dunque? E’ questa la domanda con cui ci siamo lasciati nel post precedente, dopo aver appurato che le differenze tra i sessi esistono eccome, e nascono dal cervello. 

Prendiamo ad esempio una sera di novembre come tante: lui sta guidando tranquillo, la porta fuori a cena. All’improvviso, spunta una macchina da una via laterale e lui senza scomporsi la evita. Lei invece urla, spaventando il compagno più di quanto l’abbia spaventato la macchina stessa. No, non si tratta di nervi saldi. Semplicemente, al buio l’uomo vede meglio della donna e valuta in maniera molto più precisa velocità e distanza degli oggetti in movimento. Caratteristiche che derivano da tempi lontanissimi, quelli in cui il maschio andava a caccia e doveva catturare prede rapide nascoste tra fronde. La donna, al contrario, vede più distante, ha una visione più dettagliata e una maggior percezione dei colori: abilità sviluppate quando la sua funzione era quella di cercare cibo, in particolare frutti commestibili, nella foresta. Questo spiega perché sia più facile che una donna si spaventi durante un viaggio in macchina, temendo di scontrarsi con un auto, piuttosto che a farlo sia un uomo, che calcola meglio velocità e distanze, così come spiega perché molte donne preferiscano guidare di giorno.

Restando in tema, un’altra grande differenza è legata al modo di orientarsi del cervello maschile e di quello femminile. Una donna che dia indicazioni stradali ad un uomo tenderà a dirgli di proseguire dritto fino al supermercato, per poi svoltare a sinistra e raggiungere la biblioteca. Un uomo, invece, tenderà a dire ad una donna che si è persa di proseguire verso nord, convinto che così facendo lei non si possa sbagliare. Peccato che il cervello femminile, in generale, si orienti per punti vicini: il supermercato, appunto, oppure il parco e il distributore di benzina; l’uomo, invece, si orienta per poli: tra tutti, i punti cardinali. Ecco perché, quando ci si scambia a vicenda indicazioni, spesso diventa difficile capirsi…

Anche per quanto riguarda l’udito, le differenze non sono poche. L’uomo sente meglio i rumori provenienti da lontano, poiché è dotato di un udito a lungo raggio dovuto all’antichissimo compito maschile di proteggere la famiglia: dalle bestie feroci, un tempo, dai ladri, oggi. La donna, al contrario, sente meglio da vicino, come se il suo corpo fosse progettato per accorgersi di ciò che avviene in casa e, soprattutto, di un bambino che piange nella culla. Tali caratteristiche si ripercuotono anche sul sesso: non a caso la donna preferisce sentire parole dolci sussurrate all’orecchio e l’uomo, invece, gemiti ben più udibili. Inoltre l’uomo, in generale, sente meglio della donna, ma riesce a concentrarsi su una cosa sola alla volta. La donna, invece, riesce a percepire e a fare attenzione a più elementi uditivi nello stesso tempo, caratteristica dovuta al compito biologico di dover sempre prestare attenzione ai figli, anche facendo altro.

Ovviamente, alcune caratteristiche tendenzialmente maschili possano essere proprie di diverse donne, e viceversa. Le sfumature sono tante, specialmente in campo artistico, dove la sensibilità femminile è fondamentale per potersi avvicinare all’arte, così come la forza maschile serve per portare a termine i propri obiettivi. Sensibilità e spirito combattivo a pari merito, dunque.

Non si tratta, infatti, di discriminare, ma di conoscere le differenze e imparare a capirsi; così come nell’arte, per riuscire a creare, maschile e femminile comunicano e si rispettano. Perché no, non siamo tutti uguali. Siamo tutti diversi, piuttosto, e la sfida è proprio quella di essere accettati gli uni dagli altri nonostante le differenze che ci contraddistinguono.

lunedì 12 novembre 2012

Maschi contro femmine? Forse


Vi siete mai chiesti perché, da sempre, gli uomini accusano le donne di parlare troppo e le donne accusano gli uomini di essere poco sensibili? Vi siete mai chiesti da dove nascono le loro incomprensioni? Le risposte stanno tutte nel sesso, quello del cervello. Sì, anche il cervello ha un sesso: il sesso cerebrale. Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: nella realtà, difficilmente si ha a che fare con un cervello totalmente maschile o totalmente femminile; le caratteristiche si confondono, si mescolano. Per semplicità, tuttavia, parleremo di cervello maschile pensando agli uomini e di cervello femminile pensando alle donne, tenendo a mente che non sempre le due cose coincidono.
 
 
Facciamo qualche esempio. Fin dai primordi, compito della donna è stato quello di tessere relazioni catturando informazioni essenziali per la propria famiglia. Parlare, quindi, è sempre stato sinonimo di sopravvivenza. Non a caso il silenzio femminile, se prolungato, può essere una punizione: solitamente, una donna che non dice nulla a chi le sta accanto non è né tranquilla né in pace con se stessa. Anzi, probabilmente si sta arrabbiando sempre di più, man mano che il tempo passa e che il suo compagno la ignora. Questo gli uomini dovrebbero saperlo, visto che tendono a interpretare i primi sette minuti di silenzio come un premio e non come un disagio che aumenta. D’altro canto, una donna dovrebbe capire che un uomo silenzioso non la sta necessariamente punendo: anzi, forse vuole solo restarsene tranquillo. Per l’uomo, infatti, proteggere la propria famiglia ha sempre coinciso con il combattere e il cacciare: parlare, per lui, era e rimane un inutile dispendio energetico, specialmente quando era occupato a tendere trappole ad animali feroci. Silenzio, forza e agilità erano le sue prerogative. Per l’uomo parlare è “biologicamente rischioso”, poiché lo espone a quelle emozioni che, nei secoli, ha imparato a celare per sembrare il più possibile invulnerabile: la sua resistenza emotiva lo protegge dagli attacchi violenti del mondo, una difesa di cui è bene essere a conoscenza. Interessante notare, inoltre, come negli uomini la funzione verbale sia essenziale e diretta, mentre nelle donne sia più complessa e prevalentemente indiretta: non potendo usare la forza, le donne hanno dovuto imparare a carpire il maggior numero d’informazioni dai propri nemici. Istinto ancor oggi ben riconoscibile in quelle donne che si frequentano pur non sopportandosi molto: le cosiddette nemiche amiche, insomma.
 
 
Da tali caratteristiche discendono modi diversi di affrontare i problemi. Per la donna parlare significa riflettere e spesso quello che si chiede all’uomo è soltanto di ascoltare, per poi, se necessario, argomentare logicamente una scelta già presa dall’intuito femminile. Fornire una conferma, quindi, come accade quando si esce la sera e lei chiede a lui che vestito mettere sapendo già benissimo quale vuole indossare. Spesso, infatti, per la donna l’importante non è risolvere immediatamente il problema, ma esorcizzarlo parlandone. L’approccio maschile, invece, tenderà a voler “aggiustare” la questione come si aggiustano gli orologi: le domande dirette, che per la donna potrebbero sembrare invasive, cercano solo di arrivare a una soluzione, attività fondamentale per l’uomo, poichè lo fa sentire utile e necessario. Meglio, quindi, che lei non butti un orologio rotto prima che lui abbia provato a ripararlo, o l’uomo si sentirà privato del suo ruolo.
 
 
Inoltre, nell’uomo la capacità logica e quella legata all’amore sono localizzate in diversi emisferi del cervello, mentre nella donna sono sostanzialmente sovrapposte. Le conseguenze pratiche di una tale differenza non sono da poco: per un uomo, dire a una donna che ha sbagliato a montare un mobile, non significa amarla di meno; per la donna, però, una tale affermazione equivarrà esattamente al sentirsi meno amata.
 
 
Sembrerebbe, quindi, che le differenze fra i sessi ci siano eccome: a partire dal cervello, e non soltanto per quanto riguarda la parola o il modo di esprimere se stessi. Maschi contro femmine, dunque? La risposta nel prossimo post.

giovedì 18 ottobre 2012

E se Puccini andasse a scuola?


I bambini cantano, senza pensare a risultati o performance. E’ un periodo di grazia in cui ci si preoccupa di tante cose, ma non di quelle che occuperanno i propri pensieri da adulti. E’ un periodo di grazia che la scuola dovrebbe utilizzare non solo per insegnare l’alfabeto e l’aritmetica, ma anche per educare alla musica.

Con educazione alla musica s’intende prima di tutto una buona educazione all’ascolto, che spesso è lasciata in secondo piano. Le note di canzoni famose si diffondono ormai ovunque e la presenza della musica aumenta, tuttavia la capacità di concentrarsi su una singola canzone diminuisce sempre di più. Educare i bambini a un ascolto attento potrebbe essere importante tanto quanto educarli a una corretta alimentazione: saper ascoltare permette, infatti, di districarsi in un mondo dove i suoni ci avvolgono costantemente. Educare l’orecchio fin da piccoli con semplici giochi ed esperimenti può essere uno dei primi passi che porteranno alla scelta di uno strumento musicale.

E qui le note si fanno dolenti, nel vero senso della parola. I flauti imperversano per ovvie ragioni di praticità, eppure sono in molti a scagliarsi contro il diffusissimo strumento di plastica, a partire da musicisti e direttori d’orchestra che ne lamentano il suono stonato e spesso fastidioso, ben lontano da quello dei loro parenti in legno. Sono inoltre in tanti a dire che si dovrebbe prendere l’esempio dall’Inghilterra, dove viene spesso lasciata ai bambini la possibilità di scegliere tra una serie di strumenti musicali, assecondando attitudini naturali invece di forzare lo sviluppo di tutti in una sola direzione. Così facendo, si creano vere e proprie orchestre, all’interno delle quali qualcuno canta, qualcuno suona il tamburo e qualcun altro, magari, anche il flauto. Tutto ciò, ovviamente, richiede un maggiore impegno da parte degli insegnanti, oltre che più fondi. E un cambiamento di mentalità che consideri la musica al pari delle altre materie.

In questo senso, è indicativa la scarsa importanza data all’insegnamento della storia della musica. Viviamo nella patria di Verdi e Vivaldi, ma in pochi conoscono Alfredo e Violetta. Sono nati i licei musicali, ma quando si parla di musica si parla sempre e solo di specializzarsi: arrivare al liceo e sceglierne uno specifico presuppone che ci sia una passione a guidare le proprie decisioni, passione che potrebbe non nascere senza una precedente e corretta educazione. La domanda è: perché sapere tutto di Manzoni e niente di Puccini? Anche solo due ore settimanali di storia della musica in tutte le scuole superiori potrebbero colmare lacune al momento incolmabili. Per non parlare del fatto di insegnare ad ascoltare la musica più recente, a partire dal silenzio di Nicolas Cage per arrivare fino a noi. Musiche che i più piccoli potrebbero ascoltare senza pregiudizi, assorbendo e imparando.

Ci vorrebbero nuovi programmi, con più pratica e più esempi, e insegnanti formati in base ad essi, che partano dal passato per arrivare al futuro, non per restare ancorati a esso. Lasciare la possibilità a bambini e ragazzi di creare qualcosa di nuovo presuppone un maggior coinvolgimento e forse anche un maggior rischio, ma è così che nascono le possibilità: andando avanti, non certo restando fermi.

giovedì 4 ottobre 2012

Incontrando Heifetz

“Si sente sempre parlare dell’artista sensibile e delicato. Vi assicuro che servono i nervi di un torero, la digestione di un contadino, la vitalità di una ballerina da nightclub, il tatto di un diplomatico e la concentrazione di un monaco tibetano per condurre la faticosa vita di un grande artista.”


Per i violinisti è semplicemente Il Re. Considerato uno dei più grandi interpreti di violino del '900, è famoso per la sua tecnica brillante e il suo virtuosismo. Di lui, il grande critico Deems Tay­lor scrisse: “Heifetz ha un solo rivale, un solo violinista che cerca continuamente di battere: Jascha Heifetz stesso.”  Possedeva uno Stradivari del 1731 e un Guarneri del Gesù del 1742; aveva un repertorio vastissimo, ma preferiva la musica da camera e dava poche concessioni alla musica contemporanea. Amava andare in barca a vela, il ping pong e il tennis; collezionava libri e francobolli.

Di famiglia ebrea, nasce in Lituania (allora parte dell’Impero Russo) nel 1901 e inizia a studiare il violino piccolissimo, sotto la guida del padre. Bambino prodigio, fa il suo debutto pubblico all’età di sette anni suonando il Concerto per violino op. 64 di Mendelssohn. A dieci anni inizia a frequentare il conservatorio di San Pietroburgo e a 11 le sue esibizioni fanno già scalpore: famoso il concerto all’aperto a Odessa di quell’anno, cui partecipano più di 8000 persone oltre alla polizia, che deve proteggerlo dalla folla entusiasta. Leggendaria la lettera scrittagli da G.B. Shaw dopo il suo primo concerto londinese: “Se provochi un Dio geloso suonando con tale sovrumana  perfezione, morirai giovane. Ti consiglio di suonare male ogni sera prima di andare a letto, invece di recitare le tue preghiere. Nessun mortale dovrebbe avere la presunzione di suonare senz’ombra di alcun difetto.

Nel 1917 suona per la prima volta negli Stati Uniti, dove resterà, ottenendo la cittadinanza nel 1925: il recital rimane uno dei debutti più sensazionali nella storia della musica. “Heifetz ha reso l’ideale reale”, così dicono le critiche. Negli anni successivi, inizia una serie di tour che lo portano fino agli estremi confini del mondo. Lentamente, il nome “Heifetz” diventa un’icona, tanto da essere utilizzato nel linguaggio comune come sinonimo di perfezione. Viene citato al cinema, alla tv, alla radio e perfino nelle vignette.

Durante la Seconda Guerra Mondiale Heifetz suona per migliaia di uomini e donne in tutto il mondo, spesso in situazioni di pericolo: si esibisce per le truppe alleate in Sud e Centro America, in Nord Africa, in Italia, in Francia e in Germania; organizza concerti vicino alle zone di guerra, negli ospedali, nelle arene sportive e spesso dal retro di un furgone con un pianoforte verticale mimetico come accompagnamento. Viene sorpreso dai bombardamenti proprio in Italia, durante un concerto all’aperto nel 1944 e si perde tra le linee nemiche in Germania nel 1945.

Sempre molto attivo sia nel campo artistico che in quello sociale, dedica l’ultima parte della sua vita all’insegnamento, presso la University of Southern California, dove si unisce ai suoi studenti in numerose battaglie: celebre la manifestazione contro lo smog, durante la quale indossa una maschera antigas. Sensibile alle tematiche ambientali, nel 1967 converte la sua Renault in un veicolo elettrico.

L’ultima esibizione di Heifetz risale al 1972 a Los Angeles, 55 anni dopo il suo debutto statunitense. Muore nel 1987.

“Non abbiamo bisogno di essere educati musicalmente, dobbiamo semplicemente guardarci dalla mal-educazione musicale. Le nostre stesse orecchie, a meno che non si siano abituate così tanto alla mediocrità da perdere la loro sensibilità, faranno il resto del lavoro per noi.”


Alcune notizie sono tratte dal sito www.jaschaheifetz.com: un'ottima fonte per ulteriori informazioni.

venerdì 21 settembre 2012

Coltivare l'intelletto

Sembra che l’intelligenza possa essere coltivata, come la pazienza. Specialmente se ci si fa aiutare dalla musica.  Diversi studi e ricerche dimostrano, infatti, come la musica faccia bene al cervello, più di altre attività, in particolar modo se s’inizia a studiarla da bambini. Che si tratti di avere una formazione musicale generica o che s’impari a suonare uno strumento, non necessariamente a livello professionale, l’importante è che, presto o tardi, ci si avvicini alla musica.
 
Studiare musica fin da piccoli influenza la plasticità del cervello, determinandone quindi un maggiore sviluppo. Bambini e ragazzi che studiano musica per anni non diventeranno per forza grandi concertisti, ma di certo saranno più intelligenti. E con intelligenza non s’intendono soltanto le abilità logico-linguistiche o il rendimento scolastico, ma anche la capacità di socializzazione o il benessere psicologico. Suonare, infatti, non coinvolge solo l’udito, anzi: richiede una buona coordinazione dei movimenti, una rapida integrazione degli stimoli visivi, uditivi e motori e, se fatto in gruppo, migliora la capacità di ascoltare gli altri e di rispettarne i tempi.
Una ricerca dello psicologo Glenn Schellenberg dell’università di Toronto, pubblicata su Psicological Science, ha coinvolto 144 bambini di sei anni, divisi in tre gruppi: il primo ha ricevuto lezioni di musica (pianoforte e canto), il secondo ha seguito un corso di teatro e il terzo non ha partecipato ad alcuna attività creativa. All’inizio e alla fine della ricerca, i bambini sono stati sottoposti a un test d’intelligenza e il risultato ha mostrato come i musicisti avessero registrato un incremento del quoziente intellettivo maggiore degli altri. Altri esperimenti di questo tipo sono arrivati alle stesse conclusioni: negli istituti in cui la musica fa parte delle materie insegnate con regolarità, gli allievi hanno un miglior rendimento generale e meno problemi disciplinari.
 
Gli studi dimostrano che i risultati migliori si ottengono iniziando da piccoli, in genere prima dei nove anni di età, ma le stesse ricerche suggeriscono anche che non è mai troppo tardi per imparare a suonare uno strumento musicale. Il periodo di tempo dedicato alla formazione sembra invece essere cruciale: si parla infatti di almeno dieci anni. Tuttavia, il mantenimento dei vantaggi non fa affidamento sull’attività continuata: i benefici del fare musica, anche a tempi alterni e nel corso della vita, non si scordano e non si perdono. Tra questi, ve ne sono anche sul lungo periodo: la musica, infatti, ridurre gli effetti del declino cognitivo, contrastarlo, o combattere addirittura il possibile insorgere dell’Alzheimer. Continuare a suonare dopo i 60 anni, dunque, non può che fare bene.
Sembra quindi che la musica possa essere molto più di un semplice svago, e non soltanto una professione. Purtroppo, ancora oggi, l’educazione musicale viene spesso riservata solo a quei bambini che hanno talento, in quanto linguaggio considerato difficile, senza considerare che non necessariamente si deve diventare direttori d’orchestra per poter beneficiare della musica.

giovedì 13 settembre 2012

Il diritto al silenzio

La musica è ovunque. Si trova nei ristoranti, nei negozi di vestiti e nei parcheggi sotterranei; c’insegue nelle sale d’attesa, nei bagni, al posto dello squillo dei telefoni; ce la portiamo dietro in macchina, sul computer o sull’i-pod. La musica è diventata sottofondo perenne e continuo, sottofondo che tutti sentono ma pochi ascoltano.
 
1934, Stati Uniti. George Owen Squier è un generale, ma anche un instancabile inventore. E’ a lui che dobbiamo la Wired Radio, tecnologia che permette di trasmettere musica attraverso le linee elettriche. L’invenzione viene collaudata nei ristoranti e negli alberghi, e due anni dopo la musica si diffonde anche negli ambienti commerciali. Nel frattempo, Squier fonda la Muzak Corporation, che crea un proprio repertorio privo di elementi che distraggano l’attenzione, come i cambiamenti di ritmo, gli ottoni e la voce. Tale musica, almeno inizialmente, è considerata di grande beneficio per i lavoratori: riduce l’assenteismo, le uscite anticipate, e in certi casi perfino la noia e la fatica. S’inizia, tuttavia, a parlare di musica appiattita e di lavaggio del cervello; la prima protesta formale, però, viene fatta solo nel 1949, in reazione all’installazione del programma Musica a Bordo sui trasporti pubblici di Washington, D.C. Si parla infatti di aggressione dell’udito e di pubblico vincolato all’ascolto, non più libero di leggere, parlare o stare semplicemente in silenzio.
La causa contro il programma Musica a bordo fu persa. Attualmente, nei supermercati la musica viene diffusa per creare un clima piacevole, rilassato, in modo da farci passare più tempo fra gli scaffali. Camminando compiamo circa 90 passi al minuto: diffondere una musica sotto i 90 battiti al minuto ci fa rallentare inconsciamente. Musiche ritmate e veloci, invece, tendono a farci compiere un maggior numero di gesti automatici, aumentando così il numero di prodotti che finiscono nel carrello. Più di tutto il resto, però, la musica serve a influenzare gli acquisti: tipi diversi di musica, infatti, portano a comprare tipologie diverse di prodotti. In altre parole, se nel reparto vini la musica diffusa è francese, è più facile che io compri vini francesi, piuttosto che spagnoli.  L’ascolto passivo ci rende meno consapevoli e più disattenti, quindi prede più facili delle strategie di marketing.
Dall’inventore della musica di sottofondo di tempo ne è passato, e certo Squier non è il solo responsabile delle canzoni nei supermercati. Sicuramente il silenzio è ormai un bene sempre più raro, così come la possibilità e quindi la capacità di ascoltare attivamente la musica invece di sentirla soltanto. Come disse William O’ Douglas, giudice di minoranza durante la causa contro il programma Musica a Bordo: “Il diritto a essere lasciato in pace è certamente l’inizio di tutte le libertà.” Nessuno se ne occupa, ma forse si dovrebbe istituire un diritto al silenzio, o perlomeno ad una musica che invece di manipolarci possa far sì che la qualità della nostra vita migliori.
 

martedì 11 settembre 2012

Il suono e gli aedi

Gli aedi cantavano. Erano uomini nati nell’antica Grecia, quando il silenzio era più diffuso del rumore e nessuno interrompeva i grilli e le cicale. Il loro compito era mantenere viva la memoria, trasmettendo le gesta degli antenati sotto forma di racconto epico. Non avevano testi scritti.
Il suono era la loro guida: spesso ritratti come ciechi, non avevano alcun bisogno della vista perché in contatto con il divino attraverso gli occhi dell’anima e del cuore. Grazie alla loro sapienza e al loro legame con la musica potevano guardare oltre. Non a caso, gli aedi erano figure sacre, profeti che raccontavano il passato per parlare agli uomini del loro futuro.

Il blog dell’Istituto Modai vorrebbe ispirarsi a loro. L’idea è quella di trasmettere informazioni legate alle tematiche più care all’Istituto, curiosità che possano non solo essere interessanti, ma anche utili a tutti, nella vita quotidiana. Si parlerà di fisiologia, di fisica acustica, ma anche della musica nei supermercati; si parlerà del motivo per cui il cervello degli uomini preferisce le cartine e quello delle donne le indicazioni; si parlerà di Demetrios Stratos e di Mozart; si parlerà di api e di vertigini. Come gli antichi aedi vorremmo fare da tramite, raccontare e confrontarci. Come gli antichi aedi, non vorremmo dimenticare che è il suono la nostra guida, che è il suono a permettere il collegamento con l’universo e con gli altri.

Speriamo di riuscire a interessarvi e divertirvi. Nel frattempo, che il canto degli aedi vi accompagni.