venerdì 21 settembre 2012

Coltivare l'intelletto

Sembra che l’intelligenza possa essere coltivata, come la pazienza. Specialmente se ci si fa aiutare dalla musica.  Diversi studi e ricerche dimostrano, infatti, come la musica faccia bene al cervello, più di altre attività, in particolar modo se s’inizia a studiarla da bambini. Che si tratti di avere una formazione musicale generica o che s’impari a suonare uno strumento, non necessariamente a livello professionale, l’importante è che, presto o tardi, ci si avvicini alla musica.
 
Studiare musica fin da piccoli influenza la plasticità del cervello, determinandone quindi un maggiore sviluppo. Bambini e ragazzi che studiano musica per anni non diventeranno per forza grandi concertisti, ma di certo saranno più intelligenti. E con intelligenza non s’intendono soltanto le abilità logico-linguistiche o il rendimento scolastico, ma anche la capacità di socializzazione o il benessere psicologico. Suonare, infatti, non coinvolge solo l’udito, anzi: richiede una buona coordinazione dei movimenti, una rapida integrazione degli stimoli visivi, uditivi e motori e, se fatto in gruppo, migliora la capacità di ascoltare gli altri e di rispettarne i tempi.
Una ricerca dello psicologo Glenn Schellenberg dell’università di Toronto, pubblicata su Psicological Science, ha coinvolto 144 bambini di sei anni, divisi in tre gruppi: il primo ha ricevuto lezioni di musica (pianoforte e canto), il secondo ha seguito un corso di teatro e il terzo non ha partecipato ad alcuna attività creativa. All’inizio e alla fine della ricerca, i bambini sono stati sottoposti a un test d’intelligenza e il risultato ha mostrato come i musicisti avessero registrato un incremento del quoziente intellettivo maggiore degli altri. Altri esperimenti di questo tipo sono arrivati alle stesse conclusioni: negli istituti in cui la musica fa parte delle materie insegnate con regolarità, gli allievi hanno un miglior rendimento generale e meno problemi disciplinari.
 
Gli studi dimostrano che i risultati migliori si ottengono iniziando da piccoli, in genere prima dei nove anni di età, ma le stesse ricerche suggeriscono anche che non è mai troppo tardi per imparare a suonare uno strumento musicale. Il periodo di tempo dedicato alla formazione sembra invece essere cruciale: si parla infatti di almeno dieci anni. Tuttavia, il mantenimento dei vantaggi non fa affidamento sull’attività continuata: i benefici del fare musica, anche a tempi alterni e nel corso della vita, non si scordano e non si perdono. Tra questi, ve ne sono anche sul lungo periodo: la musica, infatti, ridurre gli effetti del declino cognitivo, contrastarlo, o combattere addirittura il possibile insorgere dell’Alzheimer. Continuare a suonare dopo i 60 anni, dunque, non può che fare bene.
Sembra quindi che la musica possa essere molto più di un semplice svago, e non soltanto una professione. Purtroppo, ancora oggi, l’educazione musicale viene spesso riservata solo a quei bambini che hanno talento, in quanto linguaggio considerato difficile, senza considerare che non necessariamente si deve diventare direttori d’orchestra per poter beneficiare della musica.

giovedì 13 settembre 2012

Il diritto al silenzio

La musica è ovunque. Si trova nei ristoranti, nei negozi di vestiti e nei parcheggi sotterranei; c’insegue nelle sale d’attesa, nei bagni, al posto dello squillo dei telefoni; ce la portiamo dietro in macchina, sul computer o sull’i-pod. La musica è diventata sottofondo perenne e continuo, sottofondo che tutti sentono ma pochi ascoltano.
 
1934, Stati Uniti. George Owen Squier è un generale, ma anche un instancabile inventore. E’ a lui che dobbiamo la Wired Radio, tecnologia che permette di trasmettere musica attraverso le linee elettriche. L’invenzione viene collaudata nei ristoranti e negli alberghi, e due anni dopo la musica si diffonde anche negli ambienti commerciali. Nel frattempo, Squier fonda la Muzak Corporation, che crea un proprio repertorio privo di elementi che distraggano l’attenzione, come i cambiamenti di ritmo, gli ottoni e la voce. Tale musica, almeno inizialmente, è considerata di grande beneficio per i lavoratori: riduce l’assenteismo, le uscite anticipate, e in certi casi perfino la noia e la fatica. S’inizia, tuttavia, a parlare di musica appiattita e di lavaggio del cervello; la prima protesta formale, però, viene fatta solo nel 1949, in reazione all’installazione del programma Musica a Bordo sui trasporti pubblici di Washington, D.C. Si parla infatti di aggressione dell’udito e di pubblico vincolato all’ascolto, non più libero di leggere, parlare o stare semplicemente in silenzio.
La causa contro il programma Musica a bordo fu persa. Attualmente, nei supermercati la musica viene diffusa per creare un clima piacevole, rilassato, in modo da farci passare più tempo fra gli scaffali. Camminando compiamo circa 90 passi al minuto: diffondere una musica sotto i 90 battiti al minuto ci fa rallentare inconsciamente. Musiche ritmate e veloci, invece, tendono a farci compiere un maggior numero di gesti automatici, aumentando così il numero di prodotti che finiscono nel carrello. Più di tutto il resto, però, la musica serve a influenzare gli acquisti: tipi diversi di musica, infatti, portano a comprare tipologie diverse di prodotti. In altre parole, se nel reparto vini la musica diffusa è francese, è più facile che io compri vini francesi, piuttosto che spagnoli.  L’ascolto passivo ci rende meno consapevoli e più disattenti, quindi prede più facili delle strategie di marketing.
Dall’inventore della musica di sottofondo di tempo ne è passato, e certo Squier non è il solo responsabile delle canzoni nei supermercati. Sicuramente il silenzio è ormai un bene sempre più raro, così come la possibilità e quindi la capacità di ascoltare attivamente la musica invece di sentirla soltanto. Come disse William O’ Douglas, giudice di minoranza durante la causa contro il programma Musica a Bordo: “Il diritto a essere lasciato in pace è certamente l’inizio di tutte le libertà.” Nessuno se ne occupa, ma forse si dovrebbe istituire un diritto al silenzio, o perlomeno ad una musica che invece di manipolarci possa far sì che la qualità della nostra vita migliori.
 

martedì 11 settembre 2012

Il suono e gli aedi

Gli aedi cantavano. Erano uomini nati nell’antica Grecia, quando il silenzio era più diffuso del rumore e nessuno interrompeva i grilli e le cicale. Il loro compito era mantenere viva la memoria, trasmettendo le gesta degli antenati sotto forma di racconto epico. Non avevano testi scritti.
Il suono era la loro guida: spesso ritratti come ciechi, non avevano alcun bisogno della vista perché in contatto con il divino attraverso gli occhi dell’anima e del cuore. Grazie alla loro sapienza e al loro legame con la musica potevano guardare oltre. Non a caso, gli aedi erano figure sacre, profeti che raccontavano il passato per parlare agli uomini del loro futuro.

Il blog dell’Istituto Modai vorrebbe ispirarsi a loro. L’idea è quella di trasmettere informazioni legate alle tematiche più care all’Istituto, curiosità che possano non solo essere interessanti, ma anche utili a tutti, nella vita quotidiana. Si parlerà di fisiologia, di fisica acustica, ma anche della musica nei supermercati; si parlerà del motivo per cui il cervello degli uomini preferisce le cartine e quello delle donne le indicazioni; si parlerà di Demetrios Stratos e di Mozart; si parlerà di api e di vertigini. Come gli antichi aedi vorremmo fare da tramite, raccontare e confrontarci. Come gli antichi aedi, non vorremmo dimenticare che è il suono la nostra guida, che è il suono a permettere il collegamento con l’universo e con gli altri.

Speriamo di riuscire a interessarvi e divertirvi. Nel frattempo, che il canto degli aedi vi accompagni.