mercoledì 12 agosto 2015

QUESTIONE D'INTONAZIONE

L’intonazione, croce e delizia per direttori e cantori! Quanto lavoro e quante energie si spendono per essa, e molte volte con risultati che non ripagano certo di tutta quella fatica!
L’intonazione viene spesso ricercata come fosse una sorta di “tiro al bersaglio”, un “centro” da raggiungere con estrema precisione e con questa prospettiva si sottopongono i cantori a pratiche estenuanti ma, alla fine, poco produttive, spesso con risultati instabili e, a volte, producendo un notevole stress in coloro che le devono… subire.
Proviamo a riflettere su quali potrebbero essere, tra i tanti, gli elementi principali, e i relativi riferimenti, da prendere in considerazione nella ricerca della buona intonazione.
Innanzitutto è bene sapere che è l’orecchio razionale a permetterci di riconoscerla, in particolare attraverso il suo ascolto interno. Questa consapevolezza potrà servirci nel caso in cui qualcuno incontrasse difficoltà, perché proporgli di ascoltare con più attenzione da quell’orecchio, gli potrà essere di grande aiuto.
A raggiungere una buona intonazione concorrono alcuni elementi, i principali dei quali sono:
1)    l’ascolto dell’ambiente armonico del brano da cantare;
2)    il frequentarlo sino a renderlo famigliare con momenti di improvvisazione;
3)    il fare tutto questo con una vocalità comoda, mai forzata, neppure minimamente, perché nell’imprinting di un brano se appare la fatica verrà registrata dal nostro cervello assieme a tutto il resto e sarà poi molto difficile abbandonarla anche quando canteremo il brano con sicurezza.
Quindi un percorso che dovrebbe, come prima cosa, partire dall’ascolto dell’ambiente armonico nel quale si svolge il brano per arrivare dapprima a conoscerlo e poi per assimilarlo facendosene permeare, come l’acqua per la spugna.
Eseguirlo lentamente, soffermandosi su ogni singola armonia, potrebbe essere il primo passo, meglio, se disponibile, con un pianoforte, ovviamente accordato.
Successivamente, soprattutto di fronte a pagine complesse o con armonie ai confini del linguaggio tonale o al di fuori di esso, si potranno invitare i cantori a improvvisare con libertà su quella successione armonica e, nel caso di un brano troppo lungo, selezionando un numero di accordi limitato per permettere così di familiarizzare con la loro sequenza. Sarà utile, soprattutto se il brano non prevede l’accompagnamento strumentale, lavorare direttamente con le voci, ma sempre su un numero limitato di accordi. In questo caso sarà meno agevole poter improvvisare ma sempre possibile; per esempio chiedendo a un gruppo di cantori di tenere le armonie e ai rimanenti di improvvisare per poi invertire le parti. Questa pratica permetterà non solo di entrare in maggior confidenza con l’ambiente armonico di quella composizione ma di arrivare a sentirla propria, quasi ne fossimo stati i creatori.
Si potrà poi affrontare l’apprendimento delle parti anche proponendo diverse prospettive, prima di iniziare a cantarle, così da offrire un riferimento utile alla sensibilità percettiva di ciascuno, sia essa uditiva, visiva o cinestesica.
Qualche semplice esempio:
·        ogni singola parte può diventare il movimento di un ballerino solista all’interno di un gruppo di danzatori;
·         un tratto di carboncino, o matita colorata, dentro aree di diverso colore (le diverse armonie);
·        uno strumentista solista che suona circondato e immerso negli altri strumenti dell’orchestra,
·        una cometa che attraversa con la sua scia un cielo stellato e infinite altre, secondo le caratteristiche del brano, la fantasia non solo del direttore ma anche di chi canta e, naturalmente, dell’età media del gruppo corale perché va da sé che il percorso scelto, le sue tappe e il loro numero, cambieranno in funzione delle caratteristiche del coro.
In buona sostanza, dunque, nella ricerca dell’intonazione serve trasferire prima l’ambiente armonico nel mondo sonoro di chi canta per poi lasciare che, coi tempi e i ritmi di ciascuno, rinasca e fiorisca in quell’humus la propria melodia da unirsi, poi, a tutte le altre.
Una metafora potrebbe tornare utile a sintetizzare questo percorso.
Se immaginiamo le diverse melodie, o parti che dir si voglia, di un brano corale come i fiori in un campo coltivato e noi come il contadino che deve prima seminarli e poi far crescere nel migliore dei modi, dovremo avere innanzitutto grande cura per il terreno, rendendolo fertile, e anche per il resto dell’ambiente, aria e acqua comprese, che, fuor di metafora, rappresentano l’armonia.

Solo quando incominceranno a sbocciare, potremo dedicare maggior attenzione ai frutti di tutto quel nostro primo, fondamentale e paziente lavoro, perché l’insieme, alla fine, trovi la sua perfetta armonia.

domenica 16 novembre 2014

COME IMPARARE UNA PARTITURA

Autore: Marco Roncaglia
Data: 16 novembre 2014

Imparare una parte corale, ma anche solistica può essere cosa facile e piacevole oppure rivelarsi difficile e noiosa.
Come procedere per ritrovarci nella prima condizione evitando la seconda?
Mi viene in mente il primo nostro percorso didattico, per così dire, e cioè come abbiamo fatto per imparare a parlare.
Cosa ci ha portati ad articolare la nostra prima parola? Non certo il saper leggere e scrivere, ma la nostra istintiva curiosità per il mondo dei suoni; quelle che ascoltavamo dai nostri genitori, e dalle persone che ruotavano attorno a noi, non erano parole e ancor meno discorsi, ma ci apparivano come pure e magiche combinazioni di suoni. Così ci siamo lasciati attrarre, spinti dalla nostra biologia, da quell’universo sonoro capace di trasmetterci molto anche senza conoscerne il significato.
È possibile ritrovarsi in quella condizione, seppure non più bambini, anche nell’apprendimento di una parte musicale?
Proviamo a immaginare questa situazione: stiamo passeggiando per le strade della nostra città, senza una meta precisa, per puro svago. Passando accanto a un edificio sentiamo delle voci cantare e ci fermiamo, incuriositi, ad ascoltarle. Cerchiamo il punto dal quale arriva più forte quel canto e lì restiamo. Non sappiamo che brano sia, e non riusciamo nemmeno a capirne bene le parole, ma solo a sentirne la melodia assieme alle armonie dell’insieme; ascoltiamo quel canto mentre il coro, nascosto alla nostra vista, lo ripete più volte sino a che riesce anche a noi di canticchiarlo, e con sempre maggiore sicurezza e piacere.
Dopo un po’ di tempo quel canto si spegne, e allora riprendiamo la camminata ma con quella “musichetta” che, intanto, continua a girare nella nostra testa.
Ecco, questo potrebbe essere un modello, per così dire, di approccio funzionale all’apprendimento di un canto; non la lettura delle note prima, del loro valore, delle dinamiche, del testo e solo molto tempo dopo il brano nel suo insieme, ma subito il suono di una melodia, ascoltata dalla voce di chi già la conosce o dal suono di uno strumento, imitata all’inizio in modo molto approssimativo, disimpegnato ma curioso, e via via più preciso, lontanissimi dalla condizione della lezione da imparare con diligenza e abbandonati, invece, a quella del gioco.
Partire dal suono, insomma, per arrivare alla musica, con l’innocenza e la naturale curiosità di un bambino che non sa ancora né leggere, né scrivere eppure è in grado di apprendere con assoluta facilità.

Ritrovare quella “magia” può non essere semplice e nemmeno immediato, soprattutto se si è adulti… da molto tempo, però si rivela il percorso più efficace per acquisire anche una parte musicale senza fatica, per ritrovarsela poi, altrettanto comodamente e spesso inaspettatamente, nei cassetti della nostra memoria, pronta all’uso.

mercoledì 10 settembre 2014

PERCHE' CANTARE IN UN CORO?

Autore: Roncaglia Marco
Data: settembre 2014

Una sola risposta a questa domanda è impossibile perché ne esiste una per ogni persona che decida di fare quella scelta, ma un paio di motivazioni, almeno all’inizio e secondo la mia esperienza, che dura da più di trent’anni, sembrano prevalere: la condivisione di un repertorio che piace, sia esso popolare, classico, gospel o altro ancora, e il desiderio di sperimentare le proprie possibilità vocali.
Quello che succede poi dipende, soprattutto, dal tipo di rapporto che nascerà tra direttore e coro, e da quelli che si creeranno tra le persone che lo formano. Questi due aspetti interagiscono tra di loro e, col tempo, formano il carattere del gruppo, condizionando anche le scelte interpretative.
Per questa ragione è di fondamentale importanza adottare un percorso che sia in grado di conciliare tutti gli aspetti coinvolti, da quelli musicali a quelli umani.
Dopo decenni di attività corale, durante i quali ho conosciuto e praticato innumerevoli tecniche vocali, aderito a diverse scuole di pensiero relative al ruolo del direttore, adottato diversi atteggiamenti nei confronti del far musica in generale, e con il coro in particolare, posso testimoniare che il percorso tracciato dalla metodologia dell’istituto Mod.a.i. si è rivelato il più efficace non solo a sviluppare in ciascuno una vocalità libera da qualsiasi costrizione e fatica, ma anche a favorire la nascita di un rapporto tra direttore e gruppo corale e, all’interno di esso, tra le persone che lo formano, di grande armonia. Una conseguenza molto positiva relativa a questa condizione è, per citare testualmente la testimonianza di una persona del coro che dirigo, che “questo modo di affrontare il canto annulla la competitività, ci sentiamo tutti "bravi" anche se facciamo quello che riusciamo”. La competitività non è un qualcosa di negativo in assoluto, anzi, spesso rappresenta un forte stimolo al miglioramento di sé e del gruppo, ma diventa estremamente pericolosa, e persino devastante, se fa nascere invidie e frustrazioni tra coloro che cantano in un coro.
L’armonia all’interno del gruppo, nel quale comprendo anche chi dirige, è, a mio parere, la condizione più importante per fare musica allo stato dell’arte, ossia in un modo capace di coinvolgere ogni volta l’ascoltatore, e sempre a prescindere dal repertorio proposto. Avere a che fare con l’affascinante mondo della biologia e fisiologia, della sensorialità ed emotività che ne sono parte integrante, non solo interagisce positivamente con tutti gli aspetti dell’attività corale dal punto di vista puramente musicale, ma crea le condizioni migliori per una condivisione veramente profonda dal punto di vista umano.
Cantare, allora, vorrà dire ricreare ogni volta la pagina musicale, restituendole quella dimensione vitale e umanissima che è l’unica capace di coinvolgere chi canta e chi ascolta.

giovedì 19 settembre 2013

Cos'è e a cosa serve l'ugola?

Guardando all'interno delle nostre bocche possiamo notare che la parte terminale del palato molle pende verso il centro della cavità orale. Il suo nome è "ugola", ha forma cilindrica ed è particolarmente ricca di muscoli.

Durante l'atto della deglutizione tutta la struttura del palato si innalza e, collaborando con la faringe, si occupa di impedire la risalita del cibo verso il naso. Questo processo invece si inverte durante la respirazione.
 
Dall'inclinazione del palato molle e dell'ugola dipende anche il processo di fonazione. La possibilità di accedere alle cavità nasali ed orali del suono infatti determina la risonanza dalla quale dipende il timbro del cantante.
 
L'ugola però gioca anche un importante ruolo nel processo del "russare". Il tipico rumore notturno infatti è prodotto dall'aria che urta contro il palato molle facendolo vibrare.

 


giovedì 13 dicembre 2012

Un'orchestra di robot e tablet


Quando si parla di tablet, si pensa ai libri. Si pensa al fatto che prima o poi spariranno, perché i tablet sono più leggeri, perché contengono vere e proprie biblioteche, perché basta un clic per scaricare un e-book. Si pensa al problema dei diritti d’autore, al fatto che in molti scaricheranno gratuitamente, e al profumo che aveva la carta. Il dibattito è aperto e vivace. Tuttavia, quella dei tablet non è una rivoluzione confinata al campo della letteratura, come dimostra l’orchestra Filarmonica di Bruxelles.

Primi orchestranti ad usare i tablet, i musicisti hanno infatti letteralmente buttato in aria gli spartiti di carta per poi suonare il Bolero di Ravel e le opere di Wagner seguendo le note riprodotte sulle tavolette da 16 GB. L’obiettivo della filarmonica è la completa conversione dalla carta alle note digitali, processo che dovrebbe concludersi nei prossimi anni, innovando e adattando ai nostri tempi il funzionamento di un’orchestra, immutato da secoli. La novità permette inoltre di risparmiare ben 25 mila euro di carta per gli oltre 100 concerti programmati dalla Filarmonica durante l’arco di un anno: tutte le modifiche agli spartiti, infatti, costringevano a stampare nuove copie degli stessi. Con i tablet sarà sufficiente un clic per aggiornare completamente lo spartito.

L’esecuzione si rivoluziona, dunque, ma non è il caso di stupirsi più di tanto. Esiste, infatti, addirittura un robot pianista, in grado di interpretare brani musicali, cantare e parlare. Teotronico può riprodurre testi parlati, essere doppiato in tempo reale, rispondere alle domande del pubblico e interagire con i suoi interlocutori. Progettato, prodotto e assemblato in Italia dall’inventore Matteo Suzzi, Teotronico è il primo robot al mondo a suonare il pianoforte e ad esibirsi con l'orchestra. Può suonare da solo ma anche in duo con un vero pianista, in modo da mettere in evidenza le differenza tra una mera riproduzione e una più libera interpretazione. TeoTronico, inoltre, può seguire le indicazioni del direttore d'orchestra, con un'esecuzione più “umana”, in particolar modo se controllato in remoto da un ghost-pianist, un pianista professionista che suona su un pianoforte nel retropalco, collegato al robot mediante un cavo. Ascoltare per credere.

Sono molte, quindi, le novità che interessano la musica e la sua esecuzione. Tornando ai tablet, esistono programmi che simulano semplici pianoforti da una sola ottava, ma anche app che riproducono la batteria, così come adattatori per collegare la chitarra elettrica al proprio Kindle o addirittura per renderlo una pedaliera completa; esistono perfino strumentazioni per improvvisarsi dj, vere e proprie consolle che si integrano al tablet.

Una rivoluzione è in atto, non c’è dubbio, e il dibattito è aperto. Sta a noi capire come fare per non impoverire la musica e allo stesso tempo salvare le foreste. Gli strumenti sono nelle nostre mani.

lunedì 26 novembre 2012

Maschi contro femmine, forse - 2° tempo


Maschi contro femmine, dunque? E’ questa la domanda con cui ci siamo lasciati nel post precedente, dopo aver appurato che le differenze tra i sessi esistono eccome, e nascono dal cervello. 

Prendiamo ad esempio una sera di novembre come tante: lui sta guidando tranquillo, la porta fuori a cena. All’improvviso, spunta una macchina da una via laterale e lui senza scomporsi la evita. Lei invece urla, spaventando il compagno più di quanto l’abbia spaventato la macchina stessa. No, non si tratta di nervi saldi. Semplicemente, al buio l’uomo vede meglio della donna e valuta in maniera molto più precisa velocità e distanza degli oggetti in movimento. Caratteristiche che derivano da tempi lontanissimi, quelli in cui il maschio andava a caccia e doveva catturare prede rapide nascoste tra fronde. La donna, al contrario, vede più distante, ha una visione più dettagliata e una maggior percezione dei colori: abilità sviluppate quando la sua funzione era quella di cercare cibo, in particolare frutti commestibili, nella foresta. Questo spiega perché sia più facile che una donna si spaventi durante un viaggio in macchina, temendo di scontrarsi con un auto, piuttosto che a farlo sia un uomo, che calcola meglio velocità e distanze, così come spiega perché molte donne preferiscano guidare di giorno.

Restando in tema, un’altra grande differenza è legata al modo di orientarsi del cervello maschile e di quello femminile. Una donna che dia indicazioni stradali ad un uomo tenderà a dirgli di proseguire dritto fino al supermercato, per poi svoltare a sinistra e raggiungere la biblioteca. Un uomo, invece, tenderà a dire ad una donna che si è persa di proseguire verso nord, convinto che così facendo lei non si possa sbagliare. Peccato che il cervello femminile, in generale, si orienti per punti vicini: il supermercato, appunto, oppure il parco e il distributore di benzina; l’uomo, invece, si orienta per poli: tra tutti, i punti cardinali. Ecco perché, quando ci si scambia a vicenda indicazioni, spesso diventa difficile capirsi…

Anche per quanto riguarda l’udito, le differenze non sono poche. L’uomo sente meglio i rumori provenienti da lontano, poiché è dotato di un udito a lungo raggio dovuto all’antichissimo compito maschile di proteggere la famiglia: dalle bestie feroci, un tempo, dai ladri, oggi. La donna, al contrario, sente meglio da vicino, come se il suo corpo fosse progettato per accorgersi di ciò che avviene in casa e, soprattutto, di un bambino che piange nella culla. Tali caratteristiche si ripercuotono anche sul sesso: non a caso la donna preferisce sentire parole dolci sussurrate all’orecchio e l’uomo, invece, gemiti ben più udibili. Inoltre l’uomo, in generale, sente meglio della donna, ma riesce a concentrarsi su una cosa sola alla volta. La donna, invece, riesce a percepire e a fare attenzione a più elementi uditivi nello stesso tempo, caratteristica dovuta al compito biologico di dover sempre prestare attenzione ai figli, anche facendo altro.

Ovviamente, alcune caratteristiche tendenzialmente maschili possano essere proprie di diverse donne, e viceversa. Le sfumature sono tante, specialmente in campo artistico, dove la sensibilità femminile è fondamentale per potersi avvicinare all’arte, così come la forza maschile serve per portare a termine i propri obiettivi. Sensibilità e spirito combattivo a pari merito, dunque.

Non si tratta, infatti, di discriminare, ma di conoscere le differenze e imparare a capirsi; così come nell’arte, per riuscire a creare, maschile e femminile comunicano e si rispettano. Perché no, non siamo tutti uguali. Siamo tutti diversi, piuttosto, e la sfida è proprio quella di essere accettati gli uni dagli altri nonostante le differenze che ci contraddistinguono.

lunedì 12 novembre 2012

Maschi contro femmine? Forse


Vi siete mai chiesti perché, da sempre, gli uomini accusano le donne di parlare troppo e le donne accusano gli uomini di essere poco sensibili? Vi siete mai chiesti da dove nascono le loro incomprensioni? Le risposte stanno tutte nel sesso, quello del cervello. Sì, anche il cervello ha un sesso: il sesso cerebrale. Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: nella realtà, difficilmente si ha a che fare con un cervello totalmente maschile o totalmente femminile; le caratteristiche si confondono, si mescolano. Per semplicità, tuttavia, parleremo di cervello maschile pensando agli uomini e di cervello femminile pensando alle donne, tenendo a mente che non sempre le due cose coincidono.
 
 
Facciamo qualche esempio. Fin dai primordi, compito della donna è stato quello di tessere relazioni catturando informazioni essenziali per la propria famiglia. Parlare, quindi, è sempre stato sinonimo di sopravvivenza. Non a caso il silenzio femminile, se prolungato, può essere una punizione: solitamente, una donna che non dice nulla a chi le sta accanto non è né tranquilla né in pace con se stessa. Anzi, probabilmente si sta arrabbiando sempre di più, man mano che il tempo passa e che il suo compagno la ignora. Questo gli uomini dovrebbero saperlo, visto che tendono a interpretare i primi sette minuti di silenzio come un premio e non come un disagio che aumenta. D’altro canto, una donna dovrebbe capire che un uomo silenzioso non la sta necessariamente punendo: anzi, forse vuole solo restarsene tranquillo. Per l’uomo, infatti, proteggere la propria famiglia ha sempre coinciso con il combattere e il cacciare: parlare, per lui, era e rimane un inutile dispendio energetico, specialmente quando era occupato a tendere trappole ad animali feroci. Silenzio, forza e agilità erano le sue prerogative. Per l’uomo parlare è “biologicamente rischioso”, poiché lo espone a quelle emozioni che, nei secoli, ha imparato a celare per sembrare il più possibile invulnerabile: la sua resistenza emotiva lo protegge dagli attacchi violenti del mondo, una difesa di cui è bene essere a conoscenza. Interessante notare, inoltre, come negli uomini la funzione verbale sia essenziale e diretta, mentre nelle donne sia più complessa e prevalentemente indiretta: non potendo usare la forza, le donne hanno dovuto imparare a carpire il maggior numero d’informazioni dai propri nemici. Istinto ancor oggi ben riconoscibile in quelle donne che si frequentano pur non sopportandosi molto: le cosiddette nemiche amiche, insomma.
 
 
Da tali caratteristiche discendono modi diversi di affrontare i problemi. Per la donna parlare significa riflettere e spesso quello che si chiede all’uomo è soltanto di ascoltare, per poi, se necessario, argomentare logicamente una scelta già presa dall’intuito femminile. Fornire una conferma, quindi, come accade quando si esce la sera e lei chiede a lui che vestito mettere sapendo già benissimo quale vuole indossare. Spesso, infatti, per la donna l’importante non è risolvere immediatamente il problema, ma esorcizzarlo parlandone. L’approccio maschile, invece, tenderà a voler “aggiustare” la questione come si aggiustano gli orologi: le domande dirette, che per la donna potrebbero sembrare invasive, cercano solo di arrivare a una soluzione, attività fondamentale per l’uomo, poichè lo fa sentire utile e necessario. Meglio, quindi, che lei non butti un orologio rotto prima che lui abbia provato a ripararlo, o l’uomo si sentirà privato del suo ruolo.
 
 
Inoltre, nell’uomo la capacità logica e quella legata all’amore sono localizzate in diversi emisferi del cervello, mentre nella donna sono sostanzialmente sovrapposte. Le conseguenze pratiche di una tale differenza non sono da poco: per un uomo, dire a una donna che ha sbagliato a montare un mobile, non significa amarla di meno; per la donna, però, una tale affermazione equivarrà esattamente al sentirsi meno amata.
 
 
Sembrerebbe, quindi, che le differenze fra i sessi ci siano eccome: a partire dal cervello, e non soltanto per quanto riguarda la parola o il modo di esprimere se stessi. Maschi contro femmine, dunque? La risposta nel prossimo post.