domenica 16 novembre 2014

COME IMPARARE UNA PARTITURA

Autore: Marco Roncaglia
Data: 16 novembre 2014

Imparare una parte corale, ma anche solistica può essere cosa facile e piacevole oppure rivelarsi difficile e noiosa.
Come procedere per ritrovarci nella prima condizione evitando la seconda?
Mi viene in mente il primo nostro percorso didattico, per così dire, e cioè come abbiamo fatto per imparare a parlare.
Cosa ci ha portati ad articolare la nostra prima parola? Non certo il saper leggere e scrivere, ma la nostra istintiva curiosità per il mondo dei suoni; quelle che ascoltavamo dai nostri genitori, e dalle persone che ruotavano attorno a noi, non erano parole e ancor meno discorsi, ma ci apparivano come pure e magiche combinazioni di suoni. Così ci siamo lasciati attrarre, spinti dalla nostra biologia, da quell’universo sonoro capace di trasmetterci molto anche senza conoscerne il significato.
È possibile ritrovarsi in quella condizione, seppure non più bambini, anche nell’apprendimento di una parte musicale?
Proviamo a immaginare questa situazione: stiamo passeggiando per le strade della nostra città, senza una meta precisa, per puro svago. Passando accanto a un edificio sentiamo delle voci cantare e ci fermiamo, incuriositi, ad ascoltarle. Cerchiamo il punto dal quale arriva più forte quel canto e lì restiamo. Non sappiamo che brano sia, e non riusciamo nemmeno a capirne bene le parole, ma solo a sentirne la melodia assieme alle armonie dell’insieme; ascoltiamo quel canto mentre il coro, nascosto alla nostra vista, lo ripete più volte sino a che riesce anche a noi di canticchiarlo, e con sempre maggiore sicurezza e piacere.
Dopo un po’ di tempo quel canto si spegne, e allora riprendiamo la camminata ma con quella “musichetta” che, intanto, continua a girare nella nostra testa.
Ecco, questo potrebbe essere un modello, per così dire, di approccio funzionale all’apprendimento di un canto; non la lettura delle note prima, del loro valore, delle dinamiche, del testo e solo molto tempo dopo il brano nel suo insieme, ma subito il suono di una melodia, ascoltata dalla voce di chi già la conosce o dal suono di uno strumento, imitata all’inizio in modo molto approssimativo, disimpegnato ma curioso, e via via più preciso, lontanissimi dalla condizione della lezione da imparare con diligenza e abbandonati, invece, a quella del gioco.
Partire dal suono, insomma, per arrivare alla musica, con l’innocenza e la naturale curiosità di un bambino che non sa ancora né leggere, né scrivere eppure è in grado di apprendere con assoluta facilità.

Ritrovare quella “magia” può non essere semplice e nemmeno immediato, soprattutto se si è adulti… da molto tempo, però si rivela il percorso più efficace per acquisire anche una parte musicale senza fatica, per ritrovarsela poi, altrettanto comodamente e spesso inaspettatamente, nei cassetti della nostra memoria, pronta all’uso.

mercoledì 10 settembre 2014

PERCHE' CANTARE IN UN CORO?

Autore: Roncaglia Marco
Data: settembre 2014

Una sola risposta a questa domanda è impossibile perché ne esiste una per ogni persona che decida di fare quella scelta, ma un paio di motivazioni, almeno all’inizio e secondo la mia esperienza, che dura da più di trent’anni, sembrano prevalere: la condivisione di un repertorio che piace, sia esso popolare, classico, gospel o altro ancora, e il desiderio di sperimentare le proprie possibilità vocali.
Quello che succede poi dipende, soprattutto, dal tipo di rapporto che nascerà tra direttore e coro, e da quelli che si creeranno tra le persone che lo formano. Questi due aspetti interagiscono tra di loro e, col tempo, formano il carattere del gruppo, condizionando anche le scelte interpretative.
Per questa ragione è di fondamentale importanza adottare un percorso che sia in grado di conciliare tutti gli aspetti coinvolti, da quelli musicali a quelli umani.
Dopo decenni di attività corale, durante i quali ho conosciuto e praticato innumerevoli tecniche vocali, aderito a diverse scuole di pensiero relative al ruolo del direttore, adottato diversi atteggiamenti nei confronti del far musica in generale, e con il coro in particolare, posso testimoniare che il percorso tracciato dalla metodologia dell’istituto Mod.a.i. si è rivelato il più efficace non solo a sviluppare in ciascuno una vocalità libera da qualsiasi costrizione e fatica, ma anche a favorire la nascita di un rapporto tra direttore e gruppo corale e, all’interno di esso, tra le persone che lo formano, di grande armonia. Una conseguenza molto positiva relativa a questa condizione è, per citare testualmente la testimonianza di una persona del coro che dirigo, che “questo modo di affrontare il canto annulla la competitività, ci sentiamo tutti "bravi" anche se facciamo quello che riusciamo”. La competitività non è un qualcosa di negativo in assoluto, anzi, spesso rappresenta un forte stimolo al miglioramento di sé e del gruppo, ma diventa estremamente pericolosa, e persino devastante, se fa nascere invidie e frustrazioni tra coloro che cantano in un coro.
L’armonia all’interno del gruppo, nel quale comprendo anche chi dirige, è, a mio parere, la condizione più importante per fare musica allo stato dell’arte, ossia in un modo capace di coinvolgere ogni volta l’ascoltatore, e sempre a prescindere dal repertorio proposto. Avere a che fare con l’affascinante mondo della biologia e fisiologia, della sensorialità ed emotività che ne sono parte integrante, non solo interagisce positivamente con tutti gli aspetti dell’attività corale dal punto di vista puramente musicale, ma crea le condizioni migliori per una condivisione veramente profonda dal punto di vista umano.
Cantare, allora, vorrà dire ricreare ogni volta la pagina musicale, restituendole quella dimensione vitale e umanissima che è l’unica capace di coinvolgere chi canta e chi ascolta.