I bambini cantano, senza pensare a risultati o performance. E’ un periodo di grazia in cui ci si preoccupa di tante cose, ma non di quelle che occuperanno i propri pensieri da adulti. E’ un periodo di grazia che la scuola dovrebbe utilizzare non solo per insegnare l’alfabeto e l’aritmetica, ma anche per educare alla musica.
Con
educazione alla musica s’intende prima di tutto una buona educazione
all’ascolto, che spesso è lasciata in secondo piano. Le note di canzoni famose
si diffondono ormai ovunque e la presenza della musica aumenta, tuttavia la
capacità di concentrarsi su una singola canzone diminuisce sempre di più.
Educare i bambini a un ascolto attento potrebbe essere importante tanto quanto
educarli a una corretta alimentazione: saper ascoltare permette, infatti, di
districarsi in un mondo dove i suoni ci avvolgono costantemente. Educare
l’orecchio fin da piccoli con semplici giochi ed esperimenti può essere uno dei
primi passi che porteranno alla scelta di uno strumento musicale.
E
qui le note si fanno dolenti, nel vero senso della parola. I flauti
imperversano per ovvie ragioni di praticità, eppure sono in molti a scagliarsi
contro il diffusissimo strumento di plastica, a partire da musicisti e
direttori d’orchestra che ne lamentano il suono stonato e spesso fastidioso,
ben lontano da quello dei loro parenti in legno. Sono inoltre in tanti a dire
che si dovrebbe prendere l’esempio dall’Inghilterra, dove viene spesso lasciata
ai bambini la possibilità di scegliere tra una serie di strumenti musicali, assecondando
attitudini naturali invece di forzare lo sviluppo di tutti in una sola
direzione. Così facendo, si creano vere e proprie orchestre, all’interno delle
quali qualcuno canta, qualcuno suona il tamburo e qualcun altro, magari, anche
il flauto. Tutto ciò, ovviamente, richiede un maggiore impegno da parte degli
insegnanti, oltre che più fondi. E un cambiamento di mentalità che consideri la
musica al pari delle altre materie.
In
questo senso, è indicativa la scarsa importanza data all’insegnamento della
storia della musica. Viviamo nella patria di Verdi e Vivaldi, ma in pochi conoscono
Alfredo e Violetta. Sono nati i licei musicali, ma quando si parla di musica si
parla sempre e solo di specializzarsi: arrivare al liceo e sceglierne uno
specifico presuppone che ci sia una passione a guidare le proprie decisioni, passione
che potrebbe non nascere senza una precedente e corretta educazione. La domanda
è: perché sapere tutto di Manzoni e niente di Puccini? Anche solo due ore
settimanali di storia della musica in tutte le scuole superiori potrebbero
colmare lacune al momento incolmabili. Per non parlare del fatto di insegnare
ad ascoltare la musica più recente, a partire dal silenzio di Nicolas Cage per
arrivare fino a noi. Musiche che i più piccoli potrebbero ascoltare senza
pregiudizi, assorbendo e imparando.
Ci
vorrebbero nuovi programmi, con più pratica e più esempi, e insegnanti formati
in base ad essi, che partano dal passato per arrivare al futuro, non per
restare ancorati a esso. Lasciare la possibilità a bambini e ragazzi di creare qualcosa
di nuovo presuppone un maggior coinvolgimento e forse anche un maggior rischio,
ma è così che nascono le possibilità: andando avanti, non certo restando fermi.