giovedì 18 ottobre 2012

E se Puccini andasse a scuola?


I bambini cantano, senza pensare a risultati o performance. E’ un periodo di grazia in cui ci si preoccupa di tante cose, ma non di quelle che occuperanno i propri pensieri da adulti. E’ un periodo di grazia che la scuola dovrebbe utilizzare non solo per insegnare l’alfabeto e l’aritmetica, ma anche per educare alla musica.

Con educazione alla musica s’intende prima di tutto una buona educazione all’ascolto, che spesso è lasciata in secondo piano. Le note di canzoni famose si diffondono ormai ovunque e la presenza della musica aumenta, tuttavia la capacità di concentrarsi su una singola canzone diminuisce sempre di più. Educare i bambini a un ascolto attento potrebbe essere importante tanto quanto educarli a una corretta alimentazione: saper ascoltare permette, infatti, di districarsi in un mondo dove i suoni ci avvolgono costantemente. Educare l’orecchio fin da piccoli con semplici giochi ed esperimenti può essere uno dei primi passi che porteranno alla scelta di uno strumento musicale.

E qui le note si fanno dolenti, nel vero senso della parola. I flauti imperversano per ovvie ragioni di praticità, eppure sono in molti a scagliarsi contro il diffusissimo strumento di plastica, a partire da musicisti e direttori d’orchestra che ne lamentano il suono stonato e spesso fastidioso, ben lontano da quello dei loro parenti in legno. Sono inoltre in tanti a dire che si dovrebbe prendere l’esempio dall’Inghilterra, dove viene spesso lasciata ai bambini la possibilità di scegliere tra una serie di strumenti musicali, assecondando attitudini naturali invece di forzare lo sviluppo di tutti in una sola direzione. Così facendo, si creano vere e proprie orchestre, all’interno delle quali qualcuno canta, qualcuno suona il tamburo e qualcun altro, magari, anche il flauto. Tutto ciò, ovviamente, richiede un maggiore impegno da parte degli insegnanti, oltre che più fondi. E un cambiamento di mentalità che consideri la musica al pari delle altre materie.

In questo senso, è indicativa la scarsa importanza data all’insegnamento della storia della musica. Viviamo nella patria di Verdi e Vivaldi, ma in pochi conoscono Alfredo e Violetta. Sono nati i licei musicali, ma quando si parla di musica si parla sempre e solo di specializzarsi: arrivare al liceo e sceglierne uno specifico presuppone che ci sia una passione a guidare le proprie decisioni, passione che potrebbe non nascere senza una precedente e corretta educazione. La domanda è: perché sapere tutto di Manzoni e niente di Puccini? Anche solo due ore settimanali di storia della musica in tutte le scuole superiori potrebbero colmare lacune al momento incolmabili. Per non parlare del fatto di insegnare ad ascoltare la musica più recente, a partire dal silenzio di Nicolas Cage per arrivare fino a noi. Musiche che i più piccoli potrebbero ascoltare senza pregiudizi, assorbendo e imparando.

Ci vorrebbero nuovi programmi, con più pratica e più esempi, e insegnanti formati in base ad essi, che partano dal passato per arrivare al futuro, non per restare ancorati a esso. Lasciare la possibilità a bambini e ragazzi di creare qualcosa di nuovo presuppone un maggior coinvolgimento e forse anche un maggior rischio, ma è così che nascono le possibilità: andando avanti, non certo restando fermi.

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