Credo siano pochissimi gli argomenti relativi alla musica dei
quali si sia detto e scritto più che sull’interpretazione. Non intendo
aggiungere altre parole a quella fittissima e spesso autorevole letteratura, ma
solo offrire, forse, una prospettiva un po’ diversa dal solito. L’occasione me
l’ha offerta il dubbio, in proposito, di un amico ed ex cantore del coro che dirigo.
Riporto, alla lettera, quanto da lui scritto a proposito delle
mie considerazioni sull’interpretazione:
“…l'armonia del gruppo permette di
trovare la giusta strada che porta a esprimere e interpretare al meglio un
brano. Io non riesco a cogliere il passaggio tra un gruppo ben amalgamato e
l'interpretazione stessa”.
Provo a chiarire il mio pensiero.
L'interpretazione di un brano ha a che fare con ciò che noi siamo, con il
mondo delle nostre emozioni, dei sentimenti, ma anche della fede in senso lato,
cioè di quel "sentire" che ognuno di noi fa parte di qualcosa di più
grande del suo solo essere.
Quel mondo comprende anche il vissuto di chi ha composto
quella pagina, con tutte le sue vicissitudini, così spesso simili alle nostre,
compresa la semplice quotidianità, riferita, naturalmente, al contesto storico
e sociale nel quale è vissuto quel musicista.
L'universo che contiene tutto ciò, e molto altro ancora, è
presente nella nostra voce e questa è una delle ragioni per le quali quasi
tutti noi che stiamo affrontando questo percorso vocale, ci siamo trovati, o ci
stiamo trovando, a disagio in un certo momento di quel nostro cammino perché sentiamo
che cantare non è solo una pura azione fonatoria, ma implica il mettersi in
gioco sino in fondo, senza maschere e senza possibilità di scappare, perché la
nostra voce porta con sé ciò che noi siamo sin nel profondo. Non racconta nulla
di quello che, nel bene e nel male, ci è capitato, ma dice tutto di ciò che
siamo. Possiamo sempre, quando ci sembra che quella nostra voce cantata diventi
troppo imbarazzante, persin compromettente per noi, scappare fisicamente dal
cantare, ma la verità è che, in quel caso, quasi sicuramente stiamo scappando
da noi stessi e da quelle paure che non riusciamo ad affrontare, condizionati,
molto probabilmente, da quella più grande: la paura della paura.
Tutto quel mondo intriso di umanità, fatto anche di dolore,
naturalmente, quando invece troviamo il coraggio di lasciare che sgorghi libero
da ciascuno di noi, riesce ad animare la musica, ridandole piena vita.
Solo allora nasce l'interpretazione e l’esecuzione diventa
vera arte.
Diversamente è solo esecuzione di un brano, magari anche
molto diligente, filologicamente ineccepibile e con molte qualità “tecniche”, ma
sostanzialmente priva di anima, incapace di toccare nel suo profondo chi
ascolta.
Con una prestazione del genere si possono anche vincere i
concorsi ma spesso al prezzo di rinunciare all’arte, quella che molte volte,
nella storia, ha perso nel suo presente per vincere però di fronte allo
scorrere del tempo.
Quell'interpretazione sarà un frutto assolutamente unico
perché nato da quel particolare gruppo di persone, ciascuna scrigno di inimitabile
e preziosissima umanità.