La musica è ovunque. Si
trova nei ristoranti, nei negozi di vestiti e nei parcheggi sotterranei; c’insegue
nelle sale d’attesa, nei bagni, al posto dello squillo dei telefoni; ce la
portiamo dietro in macchina, sul computer o sull’i-pod. La musica è diventata sottofondo
perenne e continuo, sottofondo che tutti sentono ma pochi ascoltano.
1934, Stati Uniti.
George Owen Squier è un generale, ma anche un instancabile inventore. E’ a lui
che dobbiamo la Wired Radio, tecnologia che permette di trasmettere musica
attraverso le linee elettriche. L’invenzione viene collaudata nei ristoranti e
negli alberghi, e due anni dopo la musica si diffonde anche negli ambienti
commerciali. Nel frattempo, Squier fonda la Muzak Corporation, che crea un proprio
repertorio privo di elementi che distraggano l’attenzione, come i cambiamenti
di ritmo, gli ottoni e la voce. Tale musica, almeno inizialmente, è considerata
di grande beneficio per i lavoratori: riduce l’assenteismo, le uscite
anticipate, e in certi casi perfino la noia e la fatica. S’inizia, tuttavia, a
parlare di musica appiattita e di lavaggio del cervello; la prima protesta
formale, però, viene fatta solo nel 1949, in reazione all’installazione del
programma Musica a Bordo sui
trasporti pubblici di Washington, D.C. Si parla infatti di aggressione
dell’udito e di pubblico vincolato all’ascolto, non più libero di leggere,
parlare o stare semplicemente in silenzio.
La causa contro il
programma Musica a bordo fu persa.
Attualmente, nei supermercati la musica viene diffusa per creare un clima
piacevole, rilassato, in modo da farci passare più tempo fra gli scaffali. Camminando
compiamo circa 90 passi al minuto: diffondere una musica sotto i 90 battiti al
minuto ci fa rallentare inconsciamente. Musiche ritmate e veloci, invece,
tendono a farci compiere un maggior numero di gesti automatici, aumentando così
il numero di prodotti che finiscono nel carrello. Più di tutto il resto, però,
la musica serve a influenzare gli acquisti: tipi diversi di musica, infatti, portano
a comprare tipologie diverse di prodotti. In altre parole, se nel reparto vini
la musica diffusa è francese, è più facile che io compri vini francesi,
piuttosto che spagnoli. L’ascolto
passivo ci rende meno consapevoli e più disattenti, quindi prede più facili
delle strategie di marketing.
Dall’inventore della musica di sottofondo di tempo ne
è passato, e certo Squier non è il solo responsabile delle canzoni nei
supermercati. Sicuramente il silenzio è ormai un bene sempre più raro, così
come la possibilità e quindi la capacità di ascoltare attivamente la musica invece di sentirla soltanto. Come
disse William O’ Douglas, giudice di minoranza durante la causa contro il
programma Musica a Bordo: “Il diritto
a essere lasciato in pace è certamente l’inizio di tutte le libertà.” Nessuno
se ne occupa, ma forse si dovrebbe istituire un diritto al silenzio, o perlomeno ad una musica che invece di manipolarci
possa far sì che la qualità della nostra vita migliori.
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